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Un cuore e i suoi piedi

La serata di Missione Paradiso del 13/07/2015 ci ha condotto lungo un viaggio del cuore edell’anima, in luoghi del mondo che da noi Occidentali vengono spesso percepiti come “sporchi”, “degradati”, “arretrati”. Ci ha condotti in quello che viene spesso definito come“Terzo Mondo”. Quel “terzo mondo” che la stessa Sefora Motta, giovane video-reporter e autrice del libro “Un cuore e i suoi piedi” ha invece, in maniera appropriata, correttamentedefinito “Sud del Mondo”, rigettando così la tesi che possano esistere un terzo o un primo mondo. Sefora ci ha raccontato, grazie ai suoi filmati, ma soprattutto grazie alla sua fortetestimonianza, cosa sia realmente la Vita in luoghi come Uganda, Bolivia o Burkina Faso.Cosa, se non quei piedi che hanno potuto percorrere quei sentieri polverosi, potrebbe esseremiglior testimone della vera Vita, della cultura e del modo di vivere di questi uomini così lontani e così diversamente raccontati dai vari spot pubblicitari che promuovono raccolte fondi con pietose foto di bambini in lacrime?

Sefora ci ha descritto un mondo in cui la vera Vita non è il possedere, l’avere un qualcosa di materiale o l’apparire. Sefora ci ha raccontato di un mondo in cui la vera Vita è semplicemente il Vivere, condividere con i propri cari, con il proprio villaggio, l’unica cosa che in realtà si possiede: il nostro tempo. Quel tempo chenoi spesso sprechiamo in un meccanismo volto alla razionalizzazione, all’efficienza o a ritmi di lavoro sfiancanti, e che invece questi uomini valorizzano nella maniera migliore di tutte: vivendo. Come Sefora ci ha ricordato “Noi non siamo terreni, noi siamo esseri spirituali che stiamo facendo un’esperienza terrena”.Forse l’unica grande differenza è proprio questa. Forse loro, che in apparenza ci sembrano più sfortunati, hanno in realtà molto più di noi e sono molto piùfortunati: loro ricordano sempre che siamo esseri spirituali. Loro sanno che questo tempo terreno serve per preparare quello che verrà, mentre noi veniamo semprepiù fagocitati dai ritmi della vita “moderna”, che ci tolgono non solo i valori, non solo la facoltà di pensare, ma anche il nostro tempo e, quindi, la nostra vita.

Chi vive in queste zone “povere” del mondo subisce oggi le conseguenze di secoli e secoli di sfruttamento generato da noi occidentali nel nome del profitto; ciò nonostante ha un sorriso diverso, che noi abbiamo dimenticato: il sorriso di chi gusta appieno la vita, di chi sa cosa vuol dire gioire.

Nei villaggi sperduti non ci sono strade asfaltate che facilitano i collegamenti con i grossi centri urbani. Vecchi e bambini, uomini e donne vivono in piccole e isolate comunità dove l’identità del gruppo viene preservata dagli influssi esterni: nessuna bandierina arcobaleno, nessun debito pubblico, nessuna crisi. Solo la gioia di condividere la vita con le persone che si amano. Questo senso di mutuo soccorso e di reciproca solidarietà che spinge tutti ad aiutare tutti per il bene collettivo, perché ciascuno è consapevole che dal bene dell’altro deriva anche il proprio bene. In una di queste comunità, quella degli Xhosa, esiste un termine che racchiude questa filosofia: “Ubuntu”, che in lingua bantu vuol dire “Io esisto perché noi siamo”. Questo è quello che dovremmo ricordare anche noi occidentali, che spesso ci riteniamo più evoluti e più avanzati, e che invece non ci rendiamo conto purtroppo di stare “progredendo verso un regresso morale” mai visto prima.

Ricordiamoci che tutti noi proveniamo da uno stesso luogo e che siamo destinati a farvi ritorno, tutti insieme. “Ama il tuo prossimo come te stesso”: lo disse, del resto, anche Gesù. L’amore è l’unico linguaggio universale. Che i nostri piedi possano portare per il mondo un cuore pieno di questo amore! Grazie, Sefora, per avercelo ricordato.

Articolo scritto il 24/07/2015 da Notizie dal fronte

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